El sarà vera fors quel ch’el dis lu
Che Milan l’è on paes che mett ingossa,
Che l’aria l’è malsana, umeda, grossa,
E che nun Milanes semm turlurù;
Impunemanch però, el me sur Monsù,
Hin tredes ann che osservi d’ona cossa
Che quand lor sciori pienten chí in sta fossa
Quij benedetti verz, no i spienten pù.
Per resolv a la mej sta question,
Monsù, ch’el scusa, ma no poss de men
Che pregall a adatass a on paragon.
On asen mantegnuu sempar de stobbia,
S’el riva a zaffá biava e fava e fen
El tira giò scalzad fína in la grobbia.
IL COMMENTO AL TESTO:
Questo breve componimento dialettale, scritto all’inizio del 1800 dal poeta Milanese Carlo Porta, è emblematico dello stile che caratterizza l’integrità della sua opera: il poeta si rivolge di frequente a degli anonimi signoroni della nobiltà meneghina con tono ironico, spesso addirittura avanzando critiche velate all’inoperosa e improduttiva classe aristocratica del tempo, come già aveva fatto con tono più aspro Parini.
In questo caso, quello che Porta rinfaccia al signore, è il fatto che molti che vengono da fuori Milano non facciano che lamentarsi della città, del suo clima e del suo ambiente, nonostante poi gli stessi, per qualche strano motivo, non rivolgano il minimo pensiero alla possibilità di andarsene, consci del benessere che solo Milano è in grado di dargli. La risposta del poeta è semplice e ironica (basti vedere la metafora delle verze o quella dell’asino) è che sarà anche vero quello che si dice di male, ma nonostante ciò quanti 2 vengono da fuori poi difficilmente se ne vanno perché Milano è una città ricca di opportunità e di benessere.
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