Oggi, in occasione della giornata mondiale della poesia, facciamo uno strappo alla regola: mettiamo da parte la politica, e parliamo di Poesia.
Vittorio Sereni
Ieri sera mi è ricapitato tra le mani un libro di valore eccezionale. “Gli Strumenti Umani” (Einaudi, 1965), di Vittorio Sereni (Luino 1913 – Milano 1983). Il titolo dice nulla e dice tutto. Umanità e strumento – cuore e lavoro. La dura scorza lombarda, che spesso di sintetizza – più o meno a ragione – con il montanaro bergamasco, il contadino cremonese o il fatturatore compulsivo milanese, presenta un vistoso squarcio. Cuori nobili – poeti, scrittori, artisti. Caravaggio? Lombardo! Alessandro Manzoni? Lombardo! Alda Merini? Lombarda!
Anche Vittorio Sereni – sguardo algido, occhio glaciale, lavoratore puntuale, poeta eccelso – era lombardo. Con lui, tutti quei poeti appartenenti alla famosa “Linea lombarda”. Una poesia tutta incentrata sulle “cose” quotidiane, rinnovano il rapporto tra poesia e realtà. Sì, perché, alla fine, essere lombardi non significa solo “vivere in Lombardia”. Significa anche aver cura delle cose, ponderare la realtà, razionalizzare, comprendere il piccolo, il particolare, prima di gettarsi nell'abisso dell'Assoluto. Lo insegna Manzoni con i suoi piccolissimi borghesi Renzo e Lucia
Giovanni Giudici – lombardo (d'adozione) – nella poesia “Una sera come tante”, contenuta nel volume “La vita in versi” (Mondadori, 1965), non esitava a parlare degli escrementi del cane nel suo studio.
Negli Anni Sessanta, la poesia lombarda reagisce alle contraddizioni sociali conseguenti al Boom economico di quegli anni. Ricchi sempre più ricchi ed emarginati sempre più all'angolo (di questo scriverà ampiamente anche Pasolini, non lombardo, ma che sul Po, in Lombardia – a Cremona, specificatamente – visse per tre anni). Giudici parla delle «impiegatizie frustrazioni». La produzione che diventa nuovo dio, lo smantellamento del tessuto sociale, e il collasso di un vero e proprio sistema di valori. La poesia è questo: realtà, Verità. Il lombardo cerca risposte, anche se a volte non riesce a scollarsi dalla sua dura concretezza per trovarne. Eppure un'anima poetica ce l'abbiamo. Ce l'avremmo. E profonda, anche.
«Ma che si viva o si muoia è indifferente
se private persone senza storia
siamo, lettori di giornali, spettatori
televisivi, utenti di servizi»
(Giovanni Giudici , Una sera come tante, “La vita in versi”).
Giampiero Neri
L'ultimo grande poeta lombardo che voglio citare è un Amico, un maestro, scomparso poco più di un mese fa, lasciando nella mia vita una mancanza incolmabile. Giampiero Neri – al secolo Giampietro Pontiggia, fratello del famoso scrittore Giuseppe Pontiggia – nacque a Erba nel 1927. Osannava la Provincia, la amava compulsivamente, nostalgicamente. Era la terra dell'infanzia, dei sogni. La sua Arcadia. Si trasferì decine di anni fa a Milano, in piazzale Libia, vicino a Porta Romana. Mi sono sempre chiesto perché un “provinciale” come lui – come me – avesse deciso di trasferirsi a Milano, in quella metropoli imbarbarita e fragorosa. Visitando piazzale Libia per la prima volta, mi resi conto che era una piccola oasi nascosta dai tram e dal frastuono. Lavorò in banca da quando aveva vent'anni. Lavorò sempre. Soffrì un lavoro tetro e anti-poetico, ma lvarò perché qualcuno doveva portare a casa da mangiare. La poesia la ritagliò amando la natura, scoprendo la bellezza – senza cercarla –, lasciandosi affascinare.
Questo dobbiamo fare, lombardi, visitare le nostre montagne, solcare i nostri laghi, nuotare nel Po. Scoprire tutta la Bellezza che ci circonda, e che può salvarci.
Segue una breve antologia di testi della poesia lombarda del secondo Novecento. Buona lettura.
Vittorio Sereni
Un ritorno
Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema ma pari piú non gli era il mio respiro e non era piú un lago ma un attonito specchio di me una lacuna del cuore.
Le sei del mattino
Tutto, si sa, la morte dissigilla. E infatti, tornavo, malchiusa era la porta appena accostato il battente. E spento infatti ero da poco, disfatto in poche ore. Ma quello vidi che certo non vedono i defunti: la casa visitata dalla mia fresca morte, solo un poco smarrita calda ancora di me che più non ero, spezzata la sbarra inane il chiavistello e grande un’aria e popolosa attorno a me piccino nella morte, i corsi l’uno dopo l’altro desti di Milano dentro tutto quel vento.
Giampiero Neri
Pesce d'acqua dolce
Lavarello è il nome lombardo di un pesce che vive sul fondo del lago. Ha la testa piccola, come di chi deve pensare poco. Ma per la forma si adatta alla profondità. Il colore è bianco argento. Sta nei confini dell’acqua scura, fredda e si suppone pigro e pacifico. Sul banco del pescivendolo si vede qualche volta, il corpo coronato dal rosso vivo delle branchie.
Mimesi
Delle figure e dei fregi si osservano sulle ali delle farfalle e in altre specie diverse ornamento e difesa insieme, simili a cerchi e disegni detti anche macchie ocellari, sono una varietà di mimetismo l’immaginario occhio di Dio che guarda
Alda Merini
da La Terra Santa
Io ho scritto per te ardue sentenze, ho scritto per te tutto il mio declino; ora mi anniento, e niente può salvare la mia voce devota; solo un canto può trasparirmi adesso dalla pelle ed è un canto d’amore che matura questa mia eternità senza confini.
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